note biografiche
Sono nato ad Ancona nel 1975 dove tutt’ora vivo. Ho frequentato l’Istituto d’Arte “Edgardo Mannucci” di Ancona e l’Accademia di Belle Arti di Macerata. Sono stato docente di discipline audiovisive e multimediali presso il Liceo Artistico Mannucci di Ancona dal 2002 al 2012 e poi al Poliarte Design dove ho potuto arricchire la mia formazione e visione, soprattutto quella rivolta ad una produzione di carattere informale e di ricerca grazie all’incontro con numerosi artisti tra cui: Valerio Valeri, Bruno Mangiaterra, Giorgio Cutini, Carlo Cecchi, Guido Armeni, Francesco Colonnelli, Luciano Dionisi. Attualmente, oltre a svolgere la professione di fotografo, lavoro nella comunicazione visiva e marketing. Compio ricerca fotografica utilizzando sia la pellicola che il digitale attraverso un percorso che, da una visione oggettiva / documentativa iniziale è passata, man mano, ad una visione sempre più personale e informale dando vita a visioni soggettive.
premi, riconoscimenti e partecipazioni
14/05/2017 – Ammissione a “MIRANOFOTOGRAFIA” Portfolio non competitivo 2017, Mirano (VE)
22/10/2016 – Menzione d’onore alla LXVI Rassegna Internazionale d’Arte Premio Salvi, Sassoferrato (AN)
hanno scritto
Andrea Carnevali. “L’arte di Alessandro Gagliardini è nuova e rispecchia la vocazione del nostro territorio. Le sue immagini parlano della natura burrascosa che cambia il paesaggio. Le fotografie riflettono la sua poetica che si è formata, studiando le Avanguardie europee e reinterpretando la cultura del passato in chiave contemporanea.
L’artista ha cercato di definire un nuovo rapporto tra immagine e luce, grazie ai tempi di scatto lunghi che plasmano la forma insieme alla luce. Infatti, nelle sue opere, le linee concentriche, che vengo definite dalla scelta di soggetti o dalla natura da fotografare, danno un’impronte particolare alle composizioni. La ricerca formale è rivolta agli effetti di luce, che aiutano a definire la forma degli alberi, in cui l’uomo non fa parte del paesaggio naturale. La forza del vento può modificare intere distese di alberi e rendere l’ambiente terrificante.
Gagliardini studia delle possibili soluzioni per dare movimento agli alberi immobili: l’obiettivo della macchina fotografica deve trovare un’angolatura precisa per creare degli effetti dinamici. Le origini di questa ricerca possono essere trovate nell’interesse per il Futurismo e il Surrealismo che hanno voluto rinnovare la pittura, grazie, anche, al movimento. Come mezzo di espressione artistica, inoltre, il fotografo ha istaurato nel corso degli anni un proficuo dialogo con altre discipline come il cinema, la letteratura e le arti figurative.
Un altro esperimento molto interessante, che si può notare nei lavori del fotografo anconetano, è il cinema da cui si s’ispira per la definizione delle forme. Uno dei film più significativi è “Ossessione”, girato da Luchino Visconti nel 1943. Nelle scenografie naturali il film evidenzia una continua ricerca di deformazioni espressive. Le scene più significative sono quelle in cui si vedono sullo sfondo il porto battuto dal vento, mentre Gino guarda un mare burrascoso con molti effetti di luce sull’increspatura del mare. Le fotografie di Gagliardini, ispirate alla pittura e alla scultura, fanno pensare, a volte, ai film di Pasolini che cercava di mettere in moto le immagini, attraverso il cinema.
Il discorso poetico del fotografo anconetano si sviluppa, anche, per libere associazioni e accostamenti incongrui di oggetti che richiamano il mondo del sogno e della psicanalisi, punti nodali dello stile surrealista. Il fotografo segue un metodo spontaneo della conoscenza irrazionale in grado di creare associazioni tra la memoria e il presente. Nell’opera dell’artista ricorrono i motivi riconoscibili nell’opera di Dalì che deforma la natura per attribuirle nuovi significati, ossia di carattere filosofico e psicologico.
La città è uno degli spazi privilegiati di studio di Gagliardini: il centro storico che diventa deserto in estate come racconta Rafael Alberti Merello nelle sue poesie. Il fotografo pensa a una molteplicità di tendenze, difficili da inquadrare, dove l’uomo vive, che devono però rispondere a più ricerche individuali. Al di là di questa pluralità di forme, egli cerca di definire la figura umana all’interno di architetture moderne”.
Paolo Biagetti. “Quante storie può contenere una storia fatta di sovrapposizione di immagini o di un’immagine sparata su un muro gremito di frammenti di manifesti affastellati e modulati da un vento di tramontana che vorrebbe staccarli e portarli altrove..! Il clic affascina per le numerose storie che paiono costruite come due superfici sovrapposte di un palcoscenico teatrale, visto da una cavea, dove si svolgono due drammi diversi, quello sopra, che riproduce il mondo nella sua varietà di vicende quotidiane rumorose e ricco di vuoti e colpevoli vaniloqui, e quello sotto che stranamente, tagliando la foto in due orizzontalmente, lascerebbe vedere un altro spazio: il sottopalco, luogo dove vengono manovrate le vicende del piano di sopra, il luogo segreto, insomma, dove si fa accadere ogni cosa. Il visibile e… l’invisibile. Il palcoscenico, dove si recitano a soggetto trame eclatanti ed intrecciate diventa così il chiasma del mondo ctonio, ma sempre, alla fine, in una relazione di reciproca implicazione e vicendevole rinvio chiasmatico. Foto notevole di continui rimandi, ben strutturata e ottimamente cadenzata su equilibri formali e ponderali di notevole prestigio…”